About Jeanne: la vera storia della Contessa che distrusse la monarchia

Ritratto di Jeanne
Ritratto di Jeanne

L'infanzia

 

Nacque a Fontette (Bar-sur-Aube) il 22 luglio 1756.
Figlia maggiore di Giacomo di Saint Rémy barone di Luze e di Valois, e di Maria Jossel, figlia del portinaio del suo castello.

La famiglia dei Valois non viveva nell'agio già da tempo (il padre aveva sperperato un patrimonio per i suoi vizi), ed il matrimonio con una donna viziosa come Maria Jossel finì con il dilapidarlo del tutto.

L'infanzia di Jeanne non fu certo delle più felici.
La bambina doveva alzarsi all'alba (spesse volte inseguita dalla madre con il forcone) per portare a pascolare le mucche.

Nella primavera del 1760, la famiglia di Jeanne aveva esaurito anche gli ultimi soldi ricavati dalla vendita di un pezzo di terra.
Inseguiti letteralmente dai creditori, il barone e sua moglie decisero di fuggire a Parigi.
Portano con sé Jeanne, suo fratello Giacomo e la più piccola, Margherita. Maria Anna, che all'epoca aveva un anno e mezzo, venne appesa, avvolta nei suoi pannolini, alla trave di casa di Durand, un contadino che si prese cura di lei.

Arrivati a Boulogne, vi si stabilirono per un po'.
Ai loro bisogni provvedeva in parte il curato del luogo, ed in parte la piccola Jeanne, che andava mendicando per le strade.

Essendo il marito ormai malato, la madre di Jeanne lo rinchiuse in un ospedale di Parigi (dove morì il 16 febbraio 1762), e si legò ad un soldato sardo, Gianbattista di Raymond.
Il nuovo degno compagno era quello che oggi chiameremmo un alcolista.

Jeanne, che all'epoca aveva solo otto anni, andava con la sorellina legata sulla schiena a chiedere l'elemosina per le vie di Parigi.
Se non tornava con i soldi necessari per comprare l'alcol per la madre ed il compagno, veniva punita.
Questi sono i suoi ricordi d'infanzia:

"Insensibile al mio pianto la mia spietata madre chiudeva la porta e dopo avermi costretta a spogliarmi de' miei miserabili cenci, che bastavano appena a ricoprirmi, mi veniva addosso furibonda, togliendomi la pelle a furia di vergate. Ma non bastava. Raymond mi legava al letto e se, durante quell'operazione crudele osavo lanciare delle grida, essa ricominciava a battermi con furia maggiore. Sovente la sua verga si spezzava fra le mani, tanto s'appesantiva su di me il suo furore brutale".

 

Un altro ritratto della Contessa
Un altro ritratto della Contessa

La Marchesa di Boulainvilliers

Una mattina del 1763 la povera Jeanne, con la sua sorellina in braccio, fermò una carrozza signorile implorando "l'elemosina per due orfanelle del sangue dei Valois".
L'occupante di quella carrozza era la marchesa di Boulainvilliers che, con il marito il podestà di Parigi, si recava nelle sue proprietà di Passy.
Fatti i dovuti accertamenti sulla veridicità delle parole della piccola mendicante, portò lei e la sorellina nella casa della signora Leclerc che teneva un educandato femminile a Passy, ma la piccola Margherita Anna morì poco dopo di vaiolo.

Quando Jeanne compì 14 anni, la marchesa di Bonlainvillier le trovò un posto da una sarta a Parigi: M.lle La Marche.
Per il suo carattere irrequieto non era facile per Jeanne trovare un posto fisso, per cui passò al servizio di un'altra sarta, M.me Boussol, come domestica, poi lavorò come lavandaia, portatrice d'acqua, cuoca, cucitrice di bianco... ma Jeanne, consapevole dei suoi illustri ascendenti, non trovava pace nel ruolo di domestica.

Avvertendo questa insoddisfazione, la marchesa di Boulainville, fece le dovute pratiche per la verificazione ufficiale della sua discendenza da Enrico II e prese Jeanne con sé per due anni.

Quando Jeanne aveva ormai compiuto 18 anni, la marchesa fece venire in casa sua anche Maria Anna, la sorellina che era stata lasciata davanti l'uscio del fattore Durand e mise le due sorelle nel collegio della badia d'Yerres, inoltre si occupava anche del fratello di Jeanne (che nel frattempo si era arruolato come mozzo) procurandogli la protezione del duca di Penthiévre.

Il 6 maggio 1776 ottenne l'autentificazione della genealogia da d'Hozier. Grazie a ciò  il 9 dicembre dello stesso anno i fratelli Valois poterono usufruire di una pensione di ottocento lire a testa sulla cassetta del Re e nel marzo 1778 poté iscrivere Jeanne e sua sorella alla badia di Longchamp dove erano ammesse solamente ragazze nobili.

Nell'autunno del 1779 la badessa chiese, ingenuamente, se le due sorelle sentissero una vocazione religiosa. Per tutta risposta Jeanne e Maria Anna scapparono dal collegio con un pacco sotto braccio e dodici scudi in tasca dirette verso Bar-sur Aube e sostarono in una delle più squallide bettole, l'osteria della Testa Rossa.

In seguito, le due fanciulle vennero accolte dalla signora di Sueremount.
Le ragazze, che si sarebbero dovute stabilire là solamente una settimana, passarono in quella casa tutto l'autunno, soprattutto perché Jeanne aveva affascinato il padrone di casa, facendo rimpiangere alla signora di Suermount tanta generosità concessa.

 

Jeanne e Nicolas in Lady Oscar
Jeanne e Nicolas in Lady Oscar

L'incontro con Nicolas

 

Tra le persone che Jeanne frequentava a Bar-sur-Aube c'era anche una certa signora De La Motte la quale aveva un figlio: un gendarme di nome Nicolas.
In un libello viene descritto così  "Non è bello di faccia ma quanto al resto prometteva. Di quel resto, la signora di Valois fece gran caso"

Il 6 giugno 1780 Jeanne e Nicolas si sposarono nella parrocchia di S. Maria Maddalena di Bar-sur-Aube ed appena un mese dopo vennero battezzati nella stessa chiesa i loro figli gemelli Giovan Battista e Nicola Marco che morirono pochi giorni dopo.

Quando finalmente la signora di Sourmount riuscì a liberarsi degli incomodi ospiti, Jeanne ed il marito si rifugiarono dalla sorella di Nicolas, la signora de la Tour, la quale però non poté ospitarli a lungo.

Jeanne riuscì ben presto a dominare la volontà (scarsa per il vero) del marito ed a coinvolgerlo nei suoi sogni ambiziosi.

Cagliostro
Cagliostro

Il Cardinale di Rohan ed il Conte di Cagliostro

Nel settembre 1781 la marchesa di Boulainvilliers si trovava di passaggio a Strasburgo.
La contessa De La Motte decise che fosse cosa carina passare con il marito a fare visita alla sua benefattrice.
Una volta venuta a sapere che da Strasburgo la marchesa era andata a Saverne ospite del principe cardinale di Rohan, la raggiunse per raccontarle le sue disgrazie. Facendo leva sulla sua bontà d'animo, ottenne di essere presentata al cardinale al quale ripeté la sua storia ottenendone la sua protezione.
Dal canto suo, la signora di Boulavilliers, provvide a pagare i debiti che i coniugi La Motte avevano contratto a Luneville ed a far ottenere lo stato di servizio a Nicolas.

Fu in casa del cardinale che la contessa conobbe un celeberrimo personaggio dell'epoca: Giuseppe Balsamo, sedicente Conte di Cagliostro.
Alchimista, sosteneva di avere più  di duemila anni, anche se ne dimostrava appena una quarantina, e di aver incontrato il Cristo. Si vantava di avere poteri taumaturgici, di aver scoperto la pozione per l'eterna giovinezza e quella per poter ringiovanire, nonché la formula, mediante la solidificazione del mercurio, per poter ottenere la pietra filosofale, miraggio di tutti gli alchimisti, che trasformava i metalli imperfetti in oro puro. Aveva fondato una sua setta massonica con sede a Lione, ed era l'unica aperta anche alle donne. Della sezione femminile (la Loggia d'Iside), gestita da sua moglie faceva parte anche la contessa di Polignac amica intima di Maria Antonietta.
Era considerato benefattore dell'umanità soprattutto dal cardinale di Rohan che non poteva far a meno della sua compagnia e dei suoi consigli.

Jeanne ebbe la fortuna di ospitarlo a pranzo nella sua casa, ma si fece subito una pessima opinione di quell'individuo che parlava un linguaggio misto tra l'italiano, un pessimo francese, qualcosa che somigliava vagamente all'arabo ed una specie di lingua sconosciuta e che raccontava di ricevere immense fortune dagli abitanti di una gigantesca città nascosta nella giungla ancora inesplorata dell'Africa. 

Madame Elisabetta in un ritratto di Vigée Le-Burn
Madame Elisabetta in un ritratto di Vigée Le-Burn

A Versailles

Sul finire del 1781 la famiglia De La Motte si trasferì a Parigi in un pessimo albergo situato in via della Verrerie.
Jeanne, però aveva affittato anche un appartamento a Versailles, in Piazza Delfina, con lo scopo di allacciare rapporti con nobili e dignitari che potessero in qualche modo farla entrare a Corte. In quel periodo erano ospiti anche i fratelli di Jeanne.
Nonostante la marchesa di Boulainvilliers fosse morta, Jeanne non si era persa di coraggio e proseguiva nel suo ambizioso piano sotto la protezione del cardinale di Rohan, il quale non negava prestiti sempre più sostanziosi e favori alla sua protetta.
Nonostante ciò i viaggi di Jeanne verso il Monte di Pietà erano più che mai frequenti ed a volte i creditori riuscivano a mettere sotto sequestro il poco mobilio di casa La Motte.
Grande sostegno per Jeanne furono i suoi servitori Rosalie (NB: da non confondere con Rosalie De La Mollier) e Deschamps che più di una volta la salvarono dai creditori, a volte anche saldando dei conti di tasca loro.

Nell'ottobre 1783, si trasferirono nuovamente andando ad abitare a Fontainbleau in Via d'Avon.

Dopo vari tentativi, la contessa De La Motte capì che non sarebbe mai riuscita ad entrare a Corte con i sistemi convenzionali, così  un giorno di dicembre, ne escogitò uno più audace.

Si trovava nell'affollatissimo salone di servizio di Madama Elisabetta (sorella di Luigi XVI), e finse di svenire.
Informata che una nobile, debilitata dalla fame avesse avuto un malore, la principessa si commosse e si fece portare la petizione che "casualmente" la contessa aveva con sé e fece accompagnare a casa la dama.
Jeanne aveva lasciato specifiche disposizioni a Deschamps: a chiunque avesse chiesto sue notizie per conto della principessa, avrebbe dovuto rispondere che la sua signora aveva avuto un aborto e che le erano stati fatti ben cinque salassi.
Madama le fece avere duecento lire, e poi, una seconda volta, altri dieci luigi; l'abate Malet promosse una questua con la quale raccolse trecento lire.
Questi soldi servirono a Jeanne soprattutto per i suoi viaggi da Parigi (la sera) a Versailles.
In quel periodo, la pensione di Jeanne si alzò da 800 a 1.500 lire.

Vista la buona riuscita dello stratagemma tentò di replicare, ma senza alcun successo.
Ci riprovò il 2 febbraio 1784.
Si trovava nella galleria degli Specchi, quando, al passaggio della regina, simulò da grande attrice quale era, un altro svenimento; ma la sua interpretazione fu tanto convincente da causare un parapiglia generale e la regina nemmeno la scorse.
In seguito arrivò a simulare convulsioni nervose e crisi epilettiche sotto la finestra di Maria Antonietta non ottenendo alcun risultato.

Jeanne, intanto, spargeva la voce di essere grande amica e confidente della regina ed i suoi viaggi a Versailles si facevano sempre più frequenti.

La fama del suo successo a Corte ebbe l'effetto di radunare una gran cerchia di persone nella sua casa di Nueve-Saint-Gilles.

Anche Jeanne aveva la sua piccola corte, a cui facevano parte un certo Rétaux de Villette, vecchio camerata del conte La Motte che, per la sua grafia molto femminile, fungeva da segretario alla contessa; Padre Loth, un frate minimo della Place-Royale che fungeva da segretario aggiunto e maggiordomo, e la signorina Colsen quale dama di compagnia.

In quei giorni venne a far visita a Jeanne una certa La Motte.
Questa omonima, detenuta alla Bastiglia era stata trasferita a la Villette e da qui era evasa.
Si vantava di avere stretti rapporti di amicizia con Maria Antonietta, mostrava carte scritte (diceva lei) dalla Polignac*  in persona, e raccontava di essere grande amica della principessa di Lamballe**. Quando si dice il destino nei nomi!!!

* Yolande Martine Gabrielle de Polastron duchessa De Polignac amica e confidente della regina Maria Antonietta

** Maria Teresa Luisa di Savoia-Carignano principessa di Lamballe amica intima della regina Maria Antonietta

Il Cardinale di Rohan
Il Cardinale di Rohan

Il Cardinale di Rohan

Proprio in quel periodo il cardinale di Rohan aveva ricevuto l'ennesima umiliazione: la regina si era rifiutata di riceverlo anche questa volta.
Il principe di Rohan era caduto in disgrazia agli occhi di Maria Antonietta già da molto tempo, soprattutto a causa della sua passione per le belle donne. Rohan ne soffriva molto, per questo quando Jeanne, nell'aprile 1784, cominciò a parlargli della sua amicizia con la regina, raccontando aneddoti (naturalmente inventati) il cardinale abboccò subito all'amo.

Certo, c'è da domandarsi, per quanto verosimili potessero essere i racconti di Jeanne, come abbia fatto il cardinale che, nonostante fosse caduto in disgrazia presso la Regina, a causa del suo ruolo frequentava quotidianamente la corte e vedeva ogni giorno Maria Antonietta a cadere nella trattola. Fatto sta che il cardinale pendeva letteralmente dalla labbra della contessa.

Jeanne, che non era una stupida, sapeva che se gli avesse detto subito "la regina vi ha perdonato" probabilmente il cardinale avrebbe mangiato la foglia. Così andò per gradi. All'inizio disse di aver fatto cadere distrattamente il discorso sulla situazione del cardinale e che la Regina avesse risposto stizzita. Il che rese il racconto della contessa verosimile.

 

Finchè un giorno Jeanne raccontò al cardinale che la regina le aveva segretamente confidato di essersi ricreduta su di lui, ma che al momento non era conveniente dichiararlo pubblicamente. A maggio Jeanne rincarò la dose dicendo al cardinale che la regina, nel passare, gli avrebbe fatto un ceno con il capo a dimostrazione che il rancore era sopito.
Fu talmente convincente, che il cardinale stesso credette di cogliere a più riprese quella "sfumatura" nei gesti della regina.

Per rendere ancora più credibile la sua familiarità con Maria Antonietta, Jeanne mostrò al principe delle lettere su carta bianca filigranata, con un orlo azzurro chiaro ed agli angoli dei gigli di Francia, che la regina avrebbe scritto di suo pugno alla cugina (cioè Jeanne stessa).
Ovviamente si scoprì in seguito che le lettere erano false, scritte da Villette.

Un giorno Jeanne annunciò al cardinale che la regina, non più in collera con lui, voleva la sua giustificazione scritta.
Cosa che il cardinale non tardò a fare.
La "risposta della regina" fu che "nonostante fosse lieta di non trovarlo più in colpa, non poteva ancora accordargli udienza".
Da allora iniziò un lungo carteggio; ma tutte quelle lettere vennero sistematicamente bruciate dalla contessa De La Motte.

In tutto questo imbroglio, però  una buona mano venne da Cagliostro (a tutt'oggi non è ancora chiaro il motivo), il quale invocando l'angelo della luce, e con i suoi riti magici, profetizzava al cardinale un luminoso avvenire dovuto appunto alla corrispondenza intrapresa.

Finalmente una buona notizia per il cardinale: la regina aveva concesso di incontrarlo segretamente, di sera, in fondo ad un viale solitario del parco di Versailles.
Ma come avrebbe potuto Jeanne far incontrare il cardinale con la regina?

Madame D'Olive
Madame D'Olive

Nel boschetto di Venere

 

Nel luglio del 1784, il conte De La Motte aveva notato nei giardini di Palazzo Reale (il luogo di prostituzione della Parigi di allora), una graziosa fanciulla di nome Maria Nicoletta Leguay, conosciuta dai più come la signora di Signy, la quale lavorava come modista e, diciamo così si prestava a tener compagnia a chi potesse pagarla.
La cosa che saltò subito agli occhi di Nicolas fu la perfetta somiglianza con Maria Antonietta.
Il conte De La Motte introdusse Nicoletta nel salotto della moglie e da allora per tutti divenne la baronessa d'Oliva (anagramma di Valois).

L'11 agosto 1784, fra le sette e le otto di sera, il conte De La Motte e Rétaux de Villette andarono a prendere Madamme d'Oliva per portarla a Versailles.
Jeanne era già arrivata con la sua fedele Rosalie ed il barone di Planta in un alloggio di Piazza Delfina.
  la baronessa d'Oliva, venne accuratamente acconciata da Rosalie per il grande incontro di quella sera, e vestita con un abito che era la perfetta imitazione di quello che la regina indossava nel ritratto fattole da Madamme Vigée-Lebrun e che era stato esposto nel Salon l'anno prima.

L'appuntamento era in un viale nel boschetto di Venere.
La baronessa venne accompagnata fino ad un certo punto, ma poi lasciata sola.
La ragazza, emozionata, trema e le cade la rosa che tiene in mano. Si avvicina un uomo avvolto in un lungo mantello, Nicoletta ha una lettera da consegnargli ma se ne dimentica, gli porge la rosa mormorando qualcosa che alle orecchie del cardinale, non meno emozionato di lei, suona come: "Potete sperare che tutto il passato verrà dimenticato".
All'improvviso un rumore, stanno arrivando Madama e la contessa d'Artois. Rétaux  porta via il cardinale e Jeanne scappa con Nicoletta. E questo è quanto accadde quella fatidica sera al boschetto di Venere, ma ha avuto l'effetto sperato.

Ora il cardinale era completamente in balia di Jeanne. Credeva a tutto ciò che diceva, pendeva letteralmente dalle sue labbra, e Jeanne approfittando di ciò si faceva pagare salatamente i suoi servigi.

Dopo qualche tempo, con una scusa, la baronessa d'Oliva venne allontanata dalla cerchia di amicizie della contessa De La Motte.

L'intrigo della collana

Finalmente capitò a Jeanne un'occasione ghiotta.

Bohemer e Bassenge, erano due gioiellieri che avevano il loro negozio in via Vendée.
Non erano due gioiellieri comuni: essi erano infatti i gioiellieri di Casa Reale.

Cosa possono avere a che fare Bohemer e Bassenge con una come la nostra contessa De La Motte?

Era capitato che Luigi XV, prima di morire, avesse commissionato ai due una stupenda collana di diamanti da donare alla contessa Du Barry: una collana talmente costosa (1.600.000 lire dell'epoca), che per la verità neanche lo stesso re avrebbe potuto permettersi di pagarla.
Luigi XV morì di vaiolo, ed i gioiellieri conoscendo (come tutti in Francia) la passione di Maria Antonietta per queste pietre tentarono a più riprese, ed inutilmente, di vendergliela.
Bohemer  si faceva sempre più insistente, anche perché per poter comprare i preziosi diamanti che componevano il gioiello si era indebitato di 800.000 lire con Baudard di Saint-James ed ora gli interessi erano spropositatamente lievitati.

Il 20 novembre 1784 Laporte, che conosceva i fatti, ne parlò a Jeanne perché intercedesse per i gioiellieri presso la regina, ed il 20 dicembre Jeanne poté vedere finalmente con i propri occhi la splendida collana che sembrava brillare di luce propria. Il 3 gennaio 1785 il cardinale tornò da Saverne, dove era stato per certi affari, ed il 21 dello stesso mese Jeanne ebbe un secondo colloquio con i gioiellieri affermando che la collana sarebbe stata acquistata da lì  a pochi giorni, e che ogni trattativa sarebbe stata intrapresa con l'acquirente e che lei non sarebbe dovuta figurare in alcun modo.
Il 24 gennaio i gioiellieri ricevettero la visita di Rohan il quale, sebbene riluttante, concluse il negoziato: 1.600.000 lire pagabili in due anni, per quarti, di sei in sei mesi. Il primo versamento sarebbe stato fatto dalla regina il 1 agosto 1785, ragione per cui la collana sarebbe stata consegnata il 1 febbraio.
Il 31 gennaio la contessa consegna a Rohan la ratifica firmata dalla regina dove è  scritto: "approvato" e firmato "Maria Antonietta di Francia". L'affare era concluso.

Rohan era più fiducioso che mai: quel gesto avrebbe convinto ancor di più Sua Maestà della sua buona fede, e, soprattutto, lo avrebbe portato a fare la carriera che desiderava e diventare primo ministro.
Quel giorno aveva persino consultato Cagliostro, il quale lo aveva rassicurato sulla perfetta riuscita delle sue azioni.

Così il 1 febbraio Rohan si presentò da Bohemer e Bassenge per sollecitarli a consegnare la collana.
Con il cofanetto tra le mani, il principe giunse nella casa della contessa in piazza della Delfina.

Dopo qualche minuto che il cardinale era entrato, giunse un uomo (Rétaux travestito) con un biglietto della regina dove era scritto "consegnare lo scrigno al portatore".
Il cardinale (credendo di riconoscere in quella persona uno dei servitori di Maria Antonietta al Petit Trianon) diede il prezioso cofanetto all'uomo che uscì di casa, ma non per andare a Versailles, bensì in via Saint-Gilles, a casa di Jeanne.

Quella sera stessa la collana venne spezzata, ed i diamanti tolti con un coltello dalle loro incastonature.
Il 9 febbraio (mercoledì delle ceneri) Jeanne incaricò Rétaux di vendere i diamanti.
Venne arrestato il 15 febbraio e confessò di aver ricevuto i diamanti dalla contessa De La Motte, ma non essendo giunta nessuna querela per furto di gioielli il caso si chiuse così.

Jeanne si era salvata dalla galera ed aveva capito una cosa: non era prudente vendere i diamanti a Parigi.
Così il 10 (o il 12) di aprile mandò Nicolas a Londra in compagnia di un irlandese, il cavaliere O' Neil.
Laggiù il conte contattò i gioiellieri Robert e William Gray ed un altro che aveva un negozio a Piccadilly, Nataniele Jeffers.
I diamanti venivano offerti ad un prezzo così basso, ed erano così intaccati a causa del metodo con cui erano stati tolti dalla collana, da far insospettire i gioiellieri inglesi che fossero il ricavato di qualche furto.
Fecero le dovute ricerche in Francia, ma non essendoci ancora state denunce di diamanti rubati conclusero l'affare.

Intanto Jeanne tentava di vendere a Parigi quelli rimasti in suo possesso, e si dava alla dolce vita comprando (pagando in diamanti) cavalli, carrozze, livree e quant'altro.
In tutto questo era necessario che il cardinale si allontanasse da Parigi, per questo fece giungere a Rohan una lettera della regina che lo invitava, affinché si potessero predisporre le cose per collocarlo nel posto che gli era dovuto, ad assentarsi per un po’.

Alla fine di maggio Jeanne, travestita da uomo, si recò dal cardinale dicendo di aver ottenuto per lui un'udienza dalla regina al suo ritorno.

La notte tra il 2 ed il 3 giugno Nicolas tornò in Francia e si trasferì con la moglie a Bar-sur-Aube dove si diedero alla vita da gran signori.
Il 7 giugno il cardinale torno a Parigi da Saverne.

I mesi passavano, e stranamente la regina non aveva ancora sfoggiato il prezioso gioiello per il quale tanto si era fatto, e questo iniziò a far insospettire l'avvocato Laporte, che era stato immischiato nelle trattative per l'affare.

Anche il cardinale iniziava a fiutare qualcosa, ma Jeanne prontamente lo rassicurava: "La regina trova la collana di un prezzo esorbitante, e se non Le accordano una riduzione del prezzo di 200.000 lire, la ridarà ai gioiellieri."
Insomma, la regina ancora non la considerava una cosa sua, per questo ancora non la indossava.

Il 10 luglio Rohan andò dai gioiellieri per ottenere uno sconto, ma inutilmente, in ogni modo li convinse a trovare un'occasione per andare a ringraziare la regina, cosa che avvenne il 12 luglio.

I protagonisti dello scandalo
I protagonisti dello scandalo

Scoppia lo scandalo

Bohemer  si recò dalla regina con un biglietto. Fatalità in quel momento entrò il Controllore ed il gioielliere dovette uscire. Quando anche il Controllore fu andato via, Maria Antonietta lesse il biglietto, non capendo nulla di quello che c'era scritto e pensando che Bohemer  fosse impazzito bruciò il biglietto con una candela: ahi, quale grave errore!!!
Se la faccenda fosse stata chiarita subito forse Maria Antonietta si sarebbe tirata fuori causa, ma ciò non avvenne ed il suo silenzio venne interpretato da Bohemer  ed il suo socio come un assenso.

La scadenza della prima rata si avvicinava, e Jeanne sapeva che la regina non l'avrebbe mai pagata; così tentò di convincere il cardinale a farsi prestare le 400.000 lire da Saint-James.
Saint-James, che già aveva finanziato con 800.000 lire la collana, rifiutò.

Il 27 luglio Jeanne ottenne dal notaio Minguet un prestito di 35.000 lire ed il giorno dopo fece recapitare al cardinale una lettera di Maria Antonietta in cui si diceva che non potendo pagare la rata il 1 agosto, avrebbe pagato la somma di 700.000 lire (metà del prezzo pattuito) il 1 di ottobre, e che per il momento venivano pagati ai gioiellieri gli interessi di 30.000 lire (parte dei soldi ottenuti con la vendita dei diamanti).

Bohemer  e Bassenge, pressati da Saint-James, chiesero però che venisse pagata per intero la prima rata.
Il cardinale si sentiva nervoso: aveva paura di venir coinvolto in uno scandalo.
Jeanne approfittando di ciò richiamò il marito da Bar-sur-Aube, ed il 3 agosto inviò Padre Loth da Bassenge ad avvisarlo che era stato ingannato, che il Principe di Rohan fera caduto in un tranello (chi meglio di lei poteva saperlo?) e che la firma della Regina era falsa, ma rassicurò i gioiellieri dicendo che Rohan avrebbe versato comunque quanto dovuto.

Jeanne pensava infatti che il cardinale, pur di non essere coinvolto nello scandalo (soprattutto riguardo la famosa scenetta del boschetto di Venere), avrebbe pagato di tasca sua la collana.
Purtroppo i gioiellieri non osarono andare dal cardinale, ma corsero a Versailles dove, non riuscendo ad ottenere udienza dalla regina, parlarono con Madamme Campan, la quale confermò i loro sospetti: erano stati abilmente raggirati!

Sempre il 3 agosto Rétaux venne convinto da Jeanne che era meglio cambiare aria e scappò  in Italia, e sempre quel giorno Rosalie venne inviata dal cardinale per chiedere udienza per la sua padrona che aveva deciso di lasciare Parigi.
Quella stessa notte Jeanne abbandonò la città per andare al palazzo del cardinale, dove mostrò ancora una volta le sue doti di attrice, riferendo al povero cardinale che Maria Antonietta, con un voltafaccia non solo si rifiutava di pagare la collana, ma l'aveva addirittura minacciata ed ora la povera Jeanne temeva per la sua stessa vita.

Il 4 agosto Bassenge veniva accolto in udienza dal cardinale, il quale tentava inutilmente di rassicurarlo, nel suo palazzo di Strasburgo.
Il principe di Rohan arrivò a supplicare Saint-James di smettere di fare pressioni sui gioiellieri confidandogli di avere una dichiarazione scritta di suo pugno dalla regina in persona.

Il 6 agosto Jeanne lasciò la casa del cardinale per trasferirsi a Bar-sur-Aube.

L' 8 agosto, Maria Antonietta mandò a chiamare Bohemer, il quale si presentò a corte il giorno successivo.

La regina stupefatta, ordinò al gioielliere di redigere un memoriale che venne consegnato il 12.
La regina si sentiva offesa ed oltraggiata.
Malamente suggerita dal barone Breteuil (che per motivi personali odiava Rohan), la Reagina si persuase che non era il caso di avvertire Luigi XVI, di aspettare che il cardinale venisse allo scoperto e di chiedere a
Bohemer e Bessange di non farne parola.

Chiese poi a Saint-James di ritirare il prestito al cardinale.

Quando poi Luigi XVI venne messo al corrente i giochi erano già fatti ed il debole Re non fece altro che cercare malamente di difendere la reputazione della Regina.

Il 15 agosto, giorno dell'Assunzione, era anche la festa della regina da quando Luigi XIII aveva posto la corona sotto la protezione della Vergine; e proprio in quel giorno solenne il cardinale venne convocato a corte.

Si presentò con gli indumenti sacri (stava, infatti, per celebrare la messa).
Si scusò per la sua ingenuità si offrì di pagare la collana e mostrò le carte firmate Maria Antonietta di Francia.
Come aveva potuto un uomo di quel rango cadere in un tranello simile? Non sapeva forse che le regine firmano con il loro nome di battesimo?
Venne invitato a redigere anch'egli un memoriale e poi arrestato.

Rohan però ebbe il tempo di scrivere all'abate Georgel l'ordine di bruciare tutte le carte che si trovavano nel "portafoglio rosso" (cosa di cui tra l'altro furono grate molte dame, poiché erano contenute molte lettere compromettenti per loro): perché venne commessa una leggerezza simile? Tra quei documenti non si potevano trovare forse degli incartamenti riguardanti la collana? O forse si è voluto che le false lettere con firma Maria Antonietta venissero bruciate? Questo è solo uno dei tanti misteri di questa vicenda.

Una vicenda che si sarebbe sicuramente potuta gestire diversamente, alzando meno polverone, con una lettre de cachet.
Infondo già nel 1777 la signora Cahuet di Villiers, moglie di un tesoriere della Casa del Re, si era servita di lettere recanti la firma falsa della sovrana per estorcere denaro ai privati, e tutto si risolse senza bisogno di tanto clamore.
Ma questa volta Maria Antonietta si sentiva offesa gravemente e soprattutto era sostenuta da ministri come Breteuil, che, come già detto, avevano dei rancori personali contro il principe di Rohan. Voleva una condanna esemplare ed insistette per un processo pubblico: grave errore.

Il giorno dopo l'arresto di Rohan (arresto che mise in cattiva luce la monarchia francese anche agli occhi del papato), il marchese di Launay, governatore della Bastiglia, ricevette una lettre de cachet con l'ordine del re di accogliere suo cugino Rohan, accusato di truffa e lesa maestà, nella fortezza.

Tutto sembrava essere contro Rohan, ma la perspicacia e la tenacia Georgel vennero suo soccorso.
Ingaggiando degli investigatori privati Georgel riuscì a rintracciare i gioiellieri che a Londra avvevano acquistato i diamanti da La Motte.
Riuscì anche a portare in tribunale la testimonianza di padre Loth che fu determinante alla fine della difesa del cardinale.

Gli arresti

E mentre a Parigi accadevano questi fatti, dove si trovava la contessa della Motte?

Il 17 agosto, mentre era ospite in una cena fuori città  la contessa De La Motte apprese dell'arresto del cardinale.
All'improvviso sbiancò non riusciva più nemmeno a portare il cucchiaio alla bocca.
Nei suoi piani, pur di evitare lo scandalo, Rohan avrebbe pagato la collana, ma ora che era stato arrestato anche lei era in pericolo.
Corse precipitosamente a casa con l'avvocato Beugnot per bruciare tutte le carte riguardanti la collana ed i sui rapporti con Rohan.


Il 18 agosto, gli arcieri si presentarono a Bar-sur-Aube.
Non avevano l'ordine di arrestare il conte De La Motte, così posero i sigilli alla casa ed andarono via con la contessa.
Poche ore dopo Nicolas ruppe i sigilli, s’impadronì di tutti i gioielli ed i beni che poteva racimolare e fuggì a Londra.

Il 20 agosto anche la contessa De La Motte era ospite nella Bastiglia, ed il 23 agosto arrivavano anche Cagliostro e sua moglie Serafina.

Il 25 Jeanne scrisse la sua difesa:"Se fossi stata colpevole non sarei rimasta in Francia"

Luigi XVI decise di offrire a Rohan la scelta tra l'appellarsi alla clemenza del re ed un processo pubblico dinanzi al Parlamento di Parigi.
Il cardinale optò per la seconda ed il 6 settembre i due rami del Parlamento vennero riuniti.

Tutta Europa parlava oramai dello scandalo.
"Quanto fango sul pastorale e sullo scettro! Che trionfo per le idee di libertà" fu il commento di Français di Saint-Just.
"In città si accusavano la signora La Motte e il Cardinale; ma a Corte si accusava la Regina" scriveva Corrispondenza segreta.
Persino i due fratelli della regina dubitavano del fatto che fosse del tutto estranea alla vicenda.

Nella notte tra il 16 ed il 17 ottobre l'ispettore Quidor riuscì ad arrestare la baronessa Oliva che, avvisata dalla contessa De La Motte che le aveva fatto pervenire un messaggio dalla Bastiglia, era scappata in Belgio.
Lo stesso Quidor in seguito riuscì ad acciuffare anche Villette che era fuggito a Ginevra (era il 15 marzo 1786).
L'unico che rimase a piede libero fu Nicolas De La Motte, che essendo fuggito a Londra non era raggiungibile dal decreto di estradizione.

Nonostante ciò il governo francese fece tutto il possibile per rapire il conte De La Motte. Si era tentato di narcotizzarlo e riportarlo in Francia chiuso in un sacco. Ma il piano fallì miseramente.

Per l'occasione, con un decreto reale, la Bastiglia diventò da prigione di Stato a prigione giudiziaria di cui il Parlamento ebbe la direzione.

Tutto era riferito dalla Gazzetta di Leida ed i Parigini erano quotidianamente messi al corrente di ciò che accadeva durante il processo.

Il processo

 

Durante l'istruttoria la contessa De La Motte si difese magistralmente.

Il processo vero e proprio ebbe inizio il 22 marzo 1786.

Non mancarono momenti "comici": messa a confronto con il conte di Cagliostro, Jeanne, ricordandogli come egli la chiamasse la sua "cigna" e la sua "colomba", non esitò a lanciargli in faccia un candeliere di bronzo ma il moccolo acceso le finì in un occhio.

Il confronto con madamme d' Oliva e Villette (12 aprile 1786) non fu meno spettacolare.
Costretta dall'evidenza ad ammettere la scena del boschetto, la contessa De La Motte ebbe contorcimenti e svenì. Saint-Jean, portachiavi alla Bastiglia che era corso a prenderle dell'aceto, la prese in braccio per riportarla nella sua cella, ma appena la contessa si riprese lo morse a sangue al collo.
Il malcapitato, sopraffatto dal dolore, la lasciò cadere a terra.

Nonostante tutto, la contessa De La Motte continuava a proclamare la sua innocenza dichiarando l'esistenza di un segreto che avrebbe confessato solamente a tu per tu al ministro della Casa del Re, ma quando Breteuil sembrò accettare le condizioni, Jeanne si finse pazza rimanendo per ore nuda in piedi nella cella.

Il cardinale si presentava al tribunale in abiti talari e professava anch'egli la sua innocenza: era stato raggirato dall'astuta contessa, alla quale accusava l'improvvisa ricchezza degli ultimi tempi.
Accusa della quale Jeanne poté liberarsi facilmente ricordando al cardinale la generosità della quale era stata beneficiata proprio da parte sua in cambio dei sui favori!

I memoriali del processo, come è facile immaginare, vennero venduti in un lampo.

Il primo ad uscire fu quello della contessa (novembre 1785) ed ebbe un successo strepitoso: in una settimana ne vennero venduti più di 5.000, il signor Doillot (che pubblicava il memoriale) ricevette in pochi giorni qualcosa come 13.000 lettere di richieste e fu necessario mettere di fronte alla sua casa delle sentinelle.

Non meno ricercato fu il memoriale di Cagliostro dove egli tra l'altro, prima di passare alla sua auto-difesa, raccontava l'inverosimile storia della sua vita.

Madamigella D'Oliva aveva conquistato tutti, uomini e donne, per il suo fascino, per l’ingenuità e per la tenerezza che suscitava (si era presentata tardi al processo per allattare il bambino che le era nato in cella il 12 maggio!), ed anche il suo memoriale fu un successo editoriale: 20.000 esemplari venduti in pochi giorni.

Non mancarono i libelli, che anzi in quel periodo intensificarono le stampe; e la polizia non fu in grado di fronteggiare la situazione.

Il 18 marzo Serafina, moglie di Cagliostro, venne liberata.
In pochi giorni il libro degli ospiti di fronte casa sua si riempì di firme.

Il 22 maggio il Parlamento si riunì per la lettura degli incarti processuali.
Tale lettura finì il 29 maggio ed il 30 venne emesso il giudizio ed il 31, alle sei del mattino, venne pronunciata la sentenza.

Nicoletta D'Oliva venne prosciolta "fuori Corte" ossia con formula dubitativa.
I documenti firmati "Maria Antonietta di Francia" dichiarati fraudolenti ed il cardinale e Cagliostro completamente scagionati da ogni accusa, tra la gioia ed il tripudio del popolo che festeggiano il conte ed il cardinale all'uscita del tribunale.
Maria Antonietta scoppia in lacrime: la sentenza è una condanna per lei. Neanche il Parlamento crede nella sua totale estranietà nei fatti o quanto meno la sua reputazione di donna frivola è tale che per i giudici è plausibile cadere in un inganno come quello orchestrato dalla Contessa De La Motte.

E' a questo punto che il Re commette l'ennesimo passo falso.
Benché il tribunale abbia scagionato Rohan ilRe lo spoglia della sua carica e lo esilia, apparendo così agli occhi dell'opinione pubblica un desputa a tutti gli effetti.


Il conte De La Motte viene condannato in contumacia al carcere a vita.
La contessa De La Motte, riconosciuta come unica colpevole e mente dell'imbroglio è condannata ad essere percossa al collo con la corda, fustigata nuda pubblicamente per mezzo di verghe, venire marchiata sulle spalle con la lettera V di voleuse (= ladra) ed essere rinchiusa per sempre nella prigione di
Salpêtrière.

Quando Jeanne seppe dell'assoluzione del cardinale (e della sua condanna) andò su tutte le furie e si spezzò in faccia il suo vaso da notte, rimanendo in piedi con il naso sanguinante.
Da allora le vennero messe in cella due donne.

Cell dell'anime Versailles no bara: Jeanne viene marchiata a fuoco
Cell dell'anime Versailles no bara: Jeanne viene marchiata a fuoco

Il marchio e la fuga

Dopo due rinvii, ebbe luogo il supplizio di Jeanne (la quale era rimasta all'oscuro di quale fosse esattamente la sua condanna): erano le 5 del mattino del 23 giugno.
Jeanne si divincolava, tanto che ci vollero quattro uomini per tenerla ferma; ma non si riuscì a toglierle i vestiti e fu necessario tagliarli.
Marchiarla non fu meno faticoso, tanto che la seconda V invece che sulla spalla finì sul petto e la povera Jeanne svenne per il dolore, non prima di aver morso a sangue il braccio di uno dei carnefici (passando con i denti i vestiti del disgraziato!!).
Venne riportata alla
Salpêtrière da dove fuggì pochi mesi dopo passando dal portone principale alle 11 del mattino(malelingue e libellisti sostenevano che la carrozza per la fuga fosse stata messa a disposizione da Maria Antonietta).
Andò a Londra dove continuò a scrivere memoriali in cui accusava Maria Antonietta di averla introdotta all'amore saffico e di essere la vera mandante della truffa della collana e e dove morì sei anni dopo, il 23 agosto 1791, cadendo da una finestra.

Documentario per la mostra Maria Antonietta e lo scandalo della collana tenutasi all' ATELIER GLUCK ARTE di Milano nel 2008